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INTEGRAZIONE

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​Ci si sforza di stare al passo con i tempi quando bisognerebbe ricordarsi di stare al passo con i più bisognosi per poter tendere loro la mano

L'UMANITA' SENZA FRONTIERE

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“L’Europa che vorrei” è uno spunto che mi porta lontano dalla realtà in cui vivo oggi. Il mio più grande desiderio sarebbe che si andasse oltre le parole per una volta, mettendo come prima tra le priorità l’integrazione. Integrare, per come piace intenderlo a me, significa amalgamare in un tutt’uno coeso e armonioso le diverse componenti senza le quali una società non potrebbe dirsi tale.

Ci si sforza di stare al passo con i tempi quando bisognerebbe ricordarsi di stare al passo con i più bisognosi per poter tendere loro la mano. È riprovevole che molti non riconoscano l’umanità in chi è uomo come noi, non è giustificabile che nel 2015 la coscienza di troppi non venga scossa dalle vittime al largo. Non si tratta di vittime del mare, ma di vittime dell’indifferenza. Ostracizzare le persone e voler delegare il problema al di fuori delle proprie competenze non è di certo una via per la soluzione.

In molti remano contro l’Europa, credono che parte della colpa della crisi, trasversale a più ambiti, che ci ha colpiti e continua a colpirci sia imputabile all’Unione Europea. Io, come molti altri, invece, credo che sia proprio da lei e solo da lei che possa partire l’impulso al cambiamento responsabile e costruttivo, un cambiamento su larga scala perché condiviso e appoggiato, uno sforzo comune, un impegno preso con convinzione.

L’Europa non è un’entità astratta e a sé stante, ma costituita da un insieme di persone prima ancora che di Stati. Credo siano appunto i singoli le fondamenta sulle quali basare la società del futuro, una società aperta al cambiamento, priva di quei paraocchi fomentati dalla demagogia che manifestano inciviltà additando gli altri come incivili. Come formare queste fondamenta? Attraverso la risorsa più preziosa e dagli effetti a lungo termine che si possa avere: la scuola.

Sin dalla scuola dell’infanzia gli insegnamenti trasmessi ai bambini sono parole incise sul futuro, che potrebbero mirare a instillare in loro la voglia di sentirsi arricchiti dalla multiculturalità. Discriminare, insultare, respingere sono tutti verbi che nella grammatica del futuro dovrebbero lasciare spazio all’interculturalità, una disciplina volta a diventare un’ottica di vita poi.

Vorrei poter essere orgogliosa in futuro di un’Europa in grado di vedere tutti gli Stati membri prodigarsi per salvare vite, un’Europa tanto unita, forte e consapevole da elaborare misure tali da tamponare i conflitti in MENA (Middle East and North Africa) sino a porre loro un punto di fine.

L’intervento di Paesi oggi membri a partire dalla fine dell’Ottocento e nel corso del secolo scorso hanno innescato dinamiche che, in quel determinato contesto, hanno contribuito in modo tutt’altro che indifferente all’evolversi della situazione sino a come la conosciamo noi oggi, purtroppo. Oggi non ci si può disinteressare, non ci si deve esimere dal compito di mediare con Paesi e Organizzazioni affinché a rimetterci non siano più gli innocenti. Sinora “innocenti” e “indifesi” sono stati sinonimi, sarebbe auspicabile che ci fosse un’inversione di rotta che assicurasse loro protezione finalmente.

La povertà e le guerre sono motivi per cercare di comprendere e aiutare i profughi, non per farli sentire persone di serie B: nessuno deve permettersi di farlo.

Non si sceglie di perdere la famiglia, la casa, gli affetti, la Patria, di diventare profughi: vanno combattuti gli scafisti e gli speculatori di ogni sorta, non le vittime.

​La vera scelta che spetta a noi e a noi soltanto è quella di volerci riscoprire un po’ più umani.



                                                                                                                                                                       Elisa

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